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L’UOMO E’ UN ESSERE IN CERCA DI CONSOLAZIONE. IL DIARIO DI GEORG SIMMEL.

Georg Simmel (1858-1918).

La forza del frammento, del pensiero asistematico, espresso con chiarezza in poche righe, affranca dal considerare un tema sotto ogni profilo, dalla complicazione non necessaria delle parole. Concentrato fino allo spasmo diviene aforisma. E’ un vizio talvolta perfino accademico quello di non prendere troppo sul serio l’aforisma, all’insegna delle convenzioni dove proliferano il nozionismo e l’ideale della coerenza unitaria. L’aforisma ha in sé la capacità di afferrare il paradosso, di produrre discontinuità, può donare subitaneamente un nuovo colore e un nuovo orizzonte, esistenzialmente rivoluzionario. Così le pagine più taglienti di Georg Simmel – sociologo e filosofo di fama – quelle del suo Diario, derivanti da un sentimento per cui «la fissità appare come la negazione del valore vitale», dove la consolazione è vista come «l’esperienza meravigliosa che lascia sussistere il dolore, per così dire, supera il dolore nel dolore». Il rischio fatale è inerente alla nostra limitata adattabilità, non solo alla contingenza, quanto al senso, culturalmente mediato, delle nostre vite, per cui all’estremo «o ci dissolviamo, o ci fissiamo nella fermezza artificiosa del dogmatismo». Non dimenticando che l’esperienza del dolore, per quanto inevitabile, non sia affatto tutto il reale. La felicità ha in sé un’ampiezza per cui le parole appaiono evanescenti. E’ naturale la reazione al dolore, è nella sofferenza che l’uomo cerca insistentemente le parole o la rappresentazione di una traduzione, di un significato, la felicità è autosufficiente. «Siamo spesso morali a nostra insaputa. Dopo che abbiamo fatto il primo passo, per così dire con una certa precipitazione e una violenta autosuggestione, noi non vogliamo più, dobbiamo soltanto». L’uomo ideale simmeliano «cosa può desiderare per sé più di grandi compiti e di un coraggio che non dipenda dalla speranza di risolverli?».

Etichettato di “ateismo religioso”, formula che rende tangibile la predilezione per le categorie, rifiutandone la complessità delle differenti rotte, Simmel inquadra la vita come unità grazie a cui lo spirito oggettiva le cose, i prodotti della cultura, i concetti, l’arte, i manufatti, che poi ritornano al soggetto che prende coscienza di una dimensione nuova di se stesso. Il distanziamento è determinante nella genesi del valore, il desiderio è tendere verso l’oggetto lontano. Il valore quindi è delineato anche dall’impossibilità e dalla rinuncia. Anche la relazione con gli altri soggetti è distanziamento, frutto di dinamiche che continuamente si ridefiniscono. Si palesa così la problematica religiosa quanto quella dell’io cosciente. «L’io con il progredire degli anni o il loro declinare, si eleva sempre più come puro processo, elemento invariabile e continuo». Un processo naturale quello dell’affermazione dell’io, inscritto nel corredo genetico, la cui densità è in stretta correlazione con l’intensità delle esperienze per cui «si plasma muovendo da tutte le fluenti casualità dei contenuti vissuti, si sviluppa con sicurezza sempre maggiore e indipendentemente da essi verso il proprio senso e la propria idea. Qui subentra il pensiero dell’immortalità». La contraddizione di fondo, quella che risponde al sentimento di essere al contempo un io mortale, e un io non toccato dalla morte, è il campo in cui «il soggetto vive tragedie nel contrasto tra la vita soggettiva che scorre irrequieta, ma temporalmente finita, e i suoi contenuti che, una volta creati, sono fissi (e pretendono di non finire)… nessuna anima infatti è soltanto ciò che è in un determinato momento, ma qualcosa di più: non si pensi a un ideale definibile, ma al liberarsi della tensione racchiusa in essa che obbedisce a un impulso formale interno». Per Simmel nella morte l’anima «non si completa più in un contenuto che consista in un qualche senso al di fuori di se stessa». In questa vita, le qualità, le scelte, il sapere del fare, ogni singola tensione verso un perfezionamento, dàte le circostanze utili per il loro emergere, sono la pluralità delle strade attraverso le quali l’anima ritorna, arricchita di nuovi contenuti, a se stessa. L’anima è in continua comunicazione con il mondo, con tutta la serie d’indisponibilità, per cui «l’uomo è semplicemente l’essere che cerca, e ciò è più che volontà».

P.A.

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