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A VOLTE RITORNANO. Di Adolfo Morganti

Più disperati, più affamati, più asserviti… quindi per un po’ tutto andrà bene.

Non sarebbe necessario aggiungere parole all’ondata di commenti (generalmente assai POCO utili) alla recente rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica Italiana, senonché ci appare veramente assurdo che ne sia stata espunta da TUTTI una valutazione adeguata del contesto europeo in cui è avvenuto e trae significato. È proprio vero che “la maledizione degli uomini è che essi dimenticano”…

Comunque: i meno immemori ricorderanno forse almeno due cose:

  1. La marmorea definizione di un “leader” di partito italiano (chiamarli cacicci e capibastone suona male, meglio un nobilitante inglese) che all’inizio della commedia all’italiana suddetta pensò bene di enunciare l’ovvio e ripetere che il nuovo Presidente, chiunque fosse, doveva avere una sola caratteristica: essere “europeista” (aggettivo che oggi bestemmia tutto ciò che l’Europa storica è stata, è e sarà) e “atlantista” (ossia, strucca strucca, fedele servo degli USA). Ma chi fu questo illuminato “leader”? Indovinate voi. Chi ce la fa vince un panino al lampredotto.
  2. Prima ancora, dopo le politiche del 2018 e le elezioni europee del 2019, quale fu il ruolo che il Presidente Mattarella si assunse, fin dalla plateale forzatura costituzionale con cui Mattarella al tempo della composizione del governo giallo-verde impedì la nomina di Savona alla carica di Ministro per gli Affari Europei, perché a suo parere “poco europeista”. Conte (facilmente) e Salvini (con qualche mugugno ed uso della base) ingoiarono la pillola: con ciò firmando col proprio sangue il contratto non scritto che il 29 gennaio è stato semplicemente rinnovato per altri 7 anni. Si poteva fare altro? Ovviamente sì: infrangere di petto ogni diktat che voleva limitare la libertà di chi vince le elezioni politiche in Italia e quindi ha diritto di formare il governo che vuole, anche senza il placet ideologico del Presidente della Repubblica, che d’altronde non ha alcun diritto costituzionale a darne. Si ebbe fifa. Da autentici parvenu.

Fu l’inizio di una strategia della schiena curva, dell’ossequio reciproco falso, ipocrita e formale e di un moderatume pratico del tutto inutile soprattutto a preservare quello stesso governo, come poi ben si vide. E fu da allora che il Presidente della Repubblica si sentì abilitato ad essere parte quanto mai attiva nella creazione e gestione dei governi, cosa che ai tempi lucenti di Giulio Andreotti e Bettino Craxi non sarebbe nemmeno stata ventilata come ipotesi. Nacque infatti subito il “partito di Mattarella” che prima causò la fine del governo gialloverde e a ciò sopravvisse benissimo: figure elevate a rango ministeriale perché autorevolmente consigliate a Salvini prima e Conte poi dal Colle… e non si poteva ovviamente dire di no, in nome di una melliflua, ipocrita ed avvelenata “cortesia istituzionale”.

Poi, quando il povero Salvini cadde nella trappola del Papeete, che non sarebbe mai stata pensata prima, né avrebbe mai funzionato poi senza la chiara e preventiva scelta del Presidente della Repubblica di NON andare alle urne a nessun costo. Nemmeno allora Salvini capì, evidentemente; e temiamo vi sia la possibilità che non comprenda nemmeno ora.

Poi, quando il governo Conte II imbarcò una nutrita pattuglia di ministri di diretto “gradimento” del Colle, incaricati (per non far che un nome: Luciana Lamorgese) di demolire tutto quanto il suo predecessore aveva cercato di fare.

Poi, e giungiamo all’oggi, quando giunse l’Unto dal Mercato, il presidente del Consiglio Mario Draghi, propagandato per mesi dai media a canali unificati, massaggiato, tenuto in panchina fino al momento in cui sempre il Presidente della Repubblica decise – in accordo con le gerarchie dell’unione europea – fosse giunto il tempo che l’Italia avesse un efficiente curatore fallimentare: e giunse a noi, circonfuso dal chiarore di un’adorazione servile e generale. Ai greci, ad esempio, nessuno chiese un’opinione preventiva in merito: ne avrebbero avuta una, fresca e molto interessante.

Draghi è stato ed è l’arma finale della restaurazione socialista-democristiana (ossia, figlia degli ammuffiti equilibri di Yalta) in un’Italia senza più comunismo né DC, coi partiti ridotti a comitati d’affari sempre più autoreferenziali; più che un curatore fallimentare è in verità un Commissario politico dell’ortodossia liberista e turbocapitalista, imposto come “indispensabile” ad un’Italia che nel 2019 pareva addirittura voler uscire dalla cappa di piombo di questa ortodossia, e con ciò poteva veramente mettere in crisi terminale il condominio PPE-PSE che regola gli affari (prima di tutto, ma non solo) europei da quando esiste l’Unione Europea.

Circonfuso di mercantile gloria, armato di una cornucopia riempita di denaro pubblico europeo (che poi gli italiani dovranno ripagare con gli interessi, ma ciò evidentemente non interessa a nessuno), ha facilmente “persuaso” un ceto politico composto di ghoul  e preta (“spiriti affamati”… e studiate ogni tanto!), nonché di grillini scappati di casa, a stendergli un tappeto rosso dinanzi, fino a farlo diventare NON il Presidente del Consiglio di una Repubblica Parlamentare, MA un Amministratore delegato di una filiale locale di una multinazionale, in cui i soci locali (in quanto tali di minoranza) sono pregati di prendere la loro parte di profitti – altrove determinata – ascoltare quel che viene loro detto ed obbedire senza rompere le scatole. Le candide e sorridenti figure dei Mega-Direttori Arcangeli di Fantozzi sono diventate tristemente realtà, col loro corredo di burocrati vili ed ossequienti.

Non c’è quindi da stupirsi se la politica di Draghi sia stata ed è quella di massacrare i ceti sociali italiani che tra 2018 e 2019 hanno ardito esprimere preferenze politiche sgradite a banche e burocrati “europei”; a ciò serve la gestione autoritaria della “pandemia”; a ciò l’invenzione e la dilatazione progressiva del cd. “green pass”, una garrota pensata per strangolare poco a poco il tessuto economico e sociale di tutta la nazione; a ciò il tenere politicamente in vita – ossia, al governo – personaggi senza alcuno spessore (non solo politico) ma utili come bersagli per la pubblica opinione come Speranza e Brunetta; a ciò serve una maggioranza talmente “allargata” da accontentare la fame di tutti, allungando nel tempo (fino a quando non si sa) la durata di un parlamento fatto di sempre più mediocri impiegati di partito, spingitori professionali di pulsanti a comando e – nella migliore tradizione berlusconiana – nani e ballerine. Che hanno nella riscossione dello stipendio a fine mese e della pensione appena si potrà lo scopo essenziale del loro fare politica.

Anche grazie ad un’”opposizione” che tale si definisce perché sta fuori dal governo nazionale, pur stando dentro a quello locale, dalle regioni in giù, coi medesimi partiti che supportano Draghi a Roma; specializzata poi nell’inutile verbosità televisiva e che passerà alla storia per non aver mai compiuto un atto politico significativo (ossia al di là di dichiarazioni che durano poco ed impegnano ancor meno) per contrastare lo strangolamento economico e la disgregazione sociale dell’Italia che il governo Draghi continuerà a cercare di imporre grazie a prefetti e generali fino all’ultimo giorno della legislatura; e forse anche oltre, se avremo la fortuna di fargli inventare un’altra “emergenza” da non risolvere mai e tenere in vita per anni, alla faccia di leggi e diritti costituzionali, e che consenta di rimandare ancora il voto popolare per il bene del popolo stesso (ovviamente).

Quindi la ri-nomina di Sergio Mattarella al Quirinale costituisce il trionfo finale della gioiosa macchina da guerra ex-comunista/liberista/atlantista sulle nostre speranze di un’Italia ed un’Europa diversa? No, per almeno 6 motivi:

  • Il ritorno di Mattarella testimonia l’assenza di un’altra figura capace di proseguire il ruolo politico da esso ricoperto durante la sua Presidenza. L’unico altro buono, Draghi, deve continuare a fare altro. Giuliano Amato – riserva conclamata ed eterna – è bene che stia a presidiare la Corte costituzionale, che sarà chiamata a proteggere senza se e senza ma ad ogni giro di garrota promosso dall’Amministratore delegato sulla carne prima, sulle proprietà dei sudditi quando ci sarà da far pagare ai cittadini i prestiti dell’UE ingoiati dai partiti, banche e grandi imprese; su questo è una consolidata sicurezza.
  • La persistenza di Draghi al governo sottolinea che per tener a bada quella massa di uccelletti politicanti senza piume, eternamente pigolanti a fauci spalancate in attesa di denaro e briciole di potere locale, c’è solo lui. Sotto solo bocche spalancate, nessun cervello per quanto distorto. È il problema del Grande Tecnocrate: può avere solo servi.
  • Si è finalmente risolto l’equivoco berlusconiano. La sua congrega mercenaria (da autentici liberali) ha smesso anche di far finta di prestargli ascolto, e punta evidentemente sulla sua morte o inabilitazione; l’astensione di “centro-destra” contro la Casellati in spregio alle indicazioni del Cavaliere misura esattamente il contributo che da qui verrà per la costituzione del Glorioso Partito di Draghi (o “Italia, al lavoro!”) che ha poco meno di un anno per emergere dalle nebbie dei palazzi romani. Ma ci sarà, probabilmente seguendo la meravigliosa esperienza di Emmanuel Macron: il ritorno del centro, ossia della palude. L’Italia dovrà in effetti lavorare eccome, per ripagare i prestiti europei incassati da terzi…
  • La Lega per Salvini premier, incassata un’altra robusta dose di ceffoni e con la base in rivolta (che non conta pressoché nulla in un partito ancora gestito da Commissari, ma che nel 2013 potrà forse votare), sconta il fatto di non avere una linea politica nazionale né europea, in cui tutte le immense potenzialità derivanti dal successo elettorale del 2019 sono oramai seppellite nella polvere. Un movimento che non convoca un Congresso dalla sua costituzione nel 2017 d’altronde non può averne. Ma non può nemmeno continuare a puntare sul protagonismo dello stesso Salvini, che troppo spesso viene mandato avanti a faccia scoperta a prender pugnalate nei corridoi romani, in attesa che vada KO. Nello stesso tempo quella parte di Lega che sogna di entrare per l’ingresso principale nell’élite di “quelli che comandano” non si rende conto (ed è strano, vista la storia…) che sta ripercorrendo gli stessi passi ed errori di Gianfranco Fini: non bastano né basteranno abiure o pellegrinaggi; per loro gli esami non finiranno mai. Senza più i voti, ed in attesa di un magistrato non compiacente.
  • “L’opposizione”, l’unica opposizione per media e giornali, ossia Fratelli d’Italia, benché si sia in una posizione che le consente di crescere grazie alle delusioni altrui, non si è ancora emancipata dalla sua natura originaria di struttura a conduzione familiare, abile alle planimetrie romane ma quasi priva di una classe dirigente di livello nazionale ed europea (anche qui, non basta la leader in TV…), che non nasce nemmeno a destra senza un progetto politico nazionale ed europeo che risponda alle sfide dell’autoritarismo tecnocratico del governo Draghi. Rispetto al quale esibisce un doppio volto troppo plateale: grandi critiche verbali ai giornali e nelle TV, specchiata collaborazione col governo nelle regioni con governatori FDI, mancanza di un progetto alternativo in Italia, quasi assoluto disinteresse per quanto accade in Europa. Un’ambiguità che non può durare, certamente non oltre il 2023.
  • Vi sono poi in Italia altre opposizioni, di destra, di sinistra, dalle ceneri dei 5S, che sono nate da un istintivo rifiuto in origine ingenuo, urlato ed a volte ben facile da infiltrare e strumentalizzare, della degenerazione che ha condotto al commissariamento politico dell’Italia, all’autoritarismo pseudo-sanitario, all’imitazione green pass dei modelli cinesi di controllo sociale digitale. Sono disperse e con la difficoltà di mettere assieme una critica intellettuale che – questa sì – in Italia ha reagito trasversalmente ed autorevolmente al governo Draghi, ad una base sociale legata in ogni modo alla difesa delle libertà concrete di cura, di educazione, di iniziativa economica. Un mondo che da qui alle prossime elezioni politiche dovrà fare molti miracoli per – prima di tutto – forare la coltre plumbea della disinformatsija dei media di regime, e farsi conoscere da Lampedusa a Courmayeur; e ciò sfuggendo le classiche trappole da “strategia della tensione”. Ma che rappresenta un segno inedito di speranza – misurato dal volume con cui vengono diffamati da grande stampa e TV – in un contesto che ne scarseggia.

In conclusione: già nel 2019, introducendo il 3° numero dei Quaderni di Domus Europa dedicato al risultato delle elezioni europee, ci permettemmo di notare che oramai nessuna azione parlamentare incisiva è possibile unicamente nei singoli stati dell’UE, ed occorre portare direttamente a Bruxelles le ragioni di chi oggi non ha voce. Il movimento dal basso che comprende come digitalizzazione, cd. “rivoluzione verde”, autoritarismo sanitario, autoritarismo green pass sono parti del medesimo progetto di espropriazione delle libertà concrete, tutte e senza scampo, dei popoli d’Europa, deve quindi partire dal locale, ma fin d’ora non può mancare di pensare europeo.

 

30 gennaio 2022

Console prof. Adolfo Morganti

3° Presidente di

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