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IL CASO SARA CUNIAL. Di Francesco Mario Agnoli.

In alcune trasmissioni televisive il caso della deputata Sara Cunial (già 5stelle, attualmente Gruppo misto) è stato presentato più o meno come un deplorevole esempio dei privilegi di cui godono i parlamentari rispetto ai comuni cittadini. In violazione del principio di eguaglianza. Difatti, mentre la gente normale per recarsi al lavoro deve essere munita di green pass, Sara Cunial, proponendo ricorso prima contro la decisione dei questori, che le avevano interdetto l’accesso alla Camera dei deputati appunto perché priva del documento, poi contro quella confermativa del presidente del Consiglio di giurisdizione, ha ottenuto un provvedimento di immediata sospensione del divieto dal presidente del Collegio di appello.

Tuttavia non si tratta di un non dovuto privilegio anche se un deputato del PD e uno di Forza Italia (forse a nome dei rispettivi partiti) hanno chiesto le dimissioni del presidente del Collegio di Appello, reo di avere violato il principio di eguaglianza col favorire una parlamentare no-vax, oltre tutto a detrimento della sanità dei colleghi. Difatti il provvedimento che ne autorizza l’ingresso a Montecitorio è stato motivato dalla necessità che l’on. Cunial, nella sua qualità di rappresentante del popolo, sia messa in condizione di svolgere il mandato democratico di cui è stata investita e possa, quindi, partecipare ai lavori della Camera e, in particolare, col proprio voto alle decisioni. In questo caso il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge entra in conflitto con un principio costituzionale superiore, anzi con la stessa natura democratica di uno Stato nel quale “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 Cost.), cioè, in una democrazia rappresentativa, attraverso l’elezione dei propri rappresentanti al Parlamento (art. 48). L’impedimento ad un parlamentare di esercitare il mandato ricevuto colpisce anche i cittadini che l’hanno votato e vengono privati del diritto di esercitare quella sovranità di cui sono contitolari, dal momento che nel nostro sistema la rappresentanza del cittadino elettore appartiene non al partito politico nelle cui liste è stato presentato, ma al singolo eletto, appunto per questo rappresentante del popolo.

E’ ben vero che è molto probabile che la pandemia e le problematiche conseguenti al momento della sua elezione fossero estranee alle ragioni e al programma proposti dall’allora candidata Cunial agli elettori per averne il voto, tuttavia, a parte l’ovvia necessità di adeguarsi ai mutamenti della realtà e alle nuove problematiche ed esigenze che comportano, ogni membro del Parlamento “esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67), ma non per questo viene meno la sua rappresentatività.

Più che tollerabile, quindi, il modesto strappo al principio di eguaglianza se si considera che l’opposta soluzione arrecherebbe un grave vulnus alla natura democratica dello Stato. Tanto più che lo strappo antiegualitario(per altro limitato alle aule parlamentari, dove i comuni cittadini hanno accesso – e non sempre – solo alle tribune) ha un facile rimedio, che garantisce anche la tutela sanitaria dei timorosi colleghi dell’on. Cunial. Si tratta di organizzare in streaming, come d’altronde è già stato fatto e fin che dura la manfrina del green pass, le sedute parlamentari e le votazioni. In alternativa si potrebbe, più semplicemente, limitare la partecipazione da remoto (sempre, ovviamente, con possibilità di voto) alla sola Cunial anche se in questo caso a essere violata, in maniera più grave dati la pluralità di valori in gioco, il principio di eguaglianza a detrimento degli elettori della Cunial dal momento che la partecipazione da remoto non è esattamente equivalente, per comprensione, efficacia, incisività, a quella in presenza.

In ogni caso, non si tratta solo di Sara Cunial. Il divieto di partecipazione dei non titolari di green pass anche alle sole riunioni collegiali porta inevitabilmente all’esclusione della presenza nelle istituzioni a qualunque livello (difatti il divieto di accesso varrebbe, oltre che per le assemblee nazionali, per quelle regionali e per i consigli comunali e di quartiere), quindi della partecipazione democratica, di un partito che si costituisse (anzi che si è già costituito sotto il simbolo delle 3V, presente con qualche discreto successo locale nelle recenti amministrative) per rappresentare in politica le istanze dei no green-pass e dei no-vax (due categorie non necessariamente e non sempre coincidenti).

Pandemia ed esigenze di tutela sanitaria della collettività hanno fatto accettare, in molti casi (incluso il mio), più che per convinta adesione per timore (della malattia e, forse soprattutto, delle “grane”) molte limitazioni di fondamentali diritti costituzionali. Difficile accettarlo per il fondamento democratico del paese.

Considerazioni che valgono, a maggior ragione, anche per il caso dell’imposizione, per legge, dell’obbligo vaccinale, a meno che non sia accompagnato per tutta la sua durata da una riorganizzazione dei lavori parlamentari sulla falsariga del modello sopra prospettato.

Francesco Mario Agnoli

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