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“Là dove è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore”. Recensione: Tolkien e il Vangelo di Gollum di Ivano Sassanelli. A cura di Giovanni Costabile.

Sassanelli I., “Tolkien e il Vangelo di Gollum”, Cacucci Editore.

L’intuizione guida che anima la ricerca di Sassanelli, teologo e canonista pugliese, parte da uno di quei lampi fugaci descritti da Tolkien, quelli che permettono di vedere la luce che trapela tra le catene di causa e effetto materiale, per concederci uno sguardo fugace di un più vasto oltre, promessa di cose più grandi e più belle a venire. Il lampo consiste nell’accostamento, pervenuto all’autore in via di pura suggestione, nell’occasione di una sua relazione pubblica, tra il famoso “Mio tesssoro” del Gollum tolkieniano e le parole di Gesù “Là dove è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore”.

Innanzitutto è necessario, in via di premessa, constatare la grande attenzione di Sassanelli all’originale. Egli è ben consapevole che il “tesssoro” di Gollum nell’inglese di Tolkien è piuttosto “my preciousss”, che perciò non offre una corrispondenza espressiva letterale perfettamente omologa tra le due espressioni. Eppure, nota Sassanelli, dovremmo soltanto con ciò ignorare l’accostamento, dovrebbe soltanto per questo motivo fermarsi qui la ricerca?

Non è forse vero che il “preciousss” di Gollum, studiato dall’autore fin dalla primissima comparsa nella prima edizione de Lo Hobbit, quando Il Signore degli Anelli, come suol dirsi “non era nemmeno nella mente di Dio”, corrisponde a una lunga serie di altri “tesori” descritti e anche studiati da Tolkien, come i Silmarilli de Il Silmarillion, l’Archengemma dello stesso Hobbit, l’oro dei Nani più in generale, e magari anche gli ori del drago in Beowulf, il tesoro di Fafnir, e altre fonti tolkieniane?

Se l’analisi di Sassanelli non si sofferma su una disamina completa delle fonti tolkieniane sul tesoro, compito arduo e che probabilmente non era necessario affrontare in tal sede, né esaustiva delle stesse occorrenze di tesori all’interno della narrativa tolkieniana (manca ad esempio la poesia “Il tesoro” in Le avventure di Tom Bombadil), pure l’autore si sofferma adeguatamente e con dovizia sul tema dell’avidità e della possessività in Tolkien, con riferimento sia al saggio Sulle Fiabe e la connessione con la meraviglia, sia a un’altra fonte tolkieniana, l’apologeta cattolico inglese Gilbert Keith Chesterton, citato appunto nello stesso saggio.

Inoltre, Sassanelli tocca punte di acume assolutamente notevoli nell’evidenziare il nesso proprio tra quest’ultimo tema dell’avidità, il furto che ad esso si connette (nella teologia medievale l’usura stessa era considerata un furto almeno fino al 13° secolo), e l’omicidio che ne è spesso l’amaro collaterale. Triade affatto azzardata, se si considera che proprio il fondamentale studio di Bowers del 2019 su Tolkien e l’autore dei Canterbury Tales, Geoffrey Chaucer, mette in evidenza, con riferimento al Pardoner’s Tale, la conoscenza e l’apprezzamento tolkieniano di racconti popolari che intrecciano l’assassinio al ladrocinio causato dalla cupidigia, tema studiato anche in precedenza dal sottoscritto.

Per giunta, Sassanelli dimostra la sua indubbia competenza nel diritto canonico laddove solleva l’osservazione per cui l’aequitas canonica medievale, e in particolare nella sua declinazione di equity nell’Inghilterra pre-Riforma, costituisca il sottofondo storico-giuridico imprescindibile per intendere correttamente il giudizio di Faramir su Gollum, temperato tra giustizia e misericordia, senza propendere esclusivamente per l’una o l’altra. Mi permetto di rilevare come potrebbe essere interessante approfondire le fonti ebraiche a riguardo dello stesso tema, in quanto, come ricorda giustamente l’autore, è nota una certa conoscenza tolkieniana della lingua ebraica.

La chiave della trattazione di Sassanelli in fin dei conti si trova proprio in tale riscontro, che permette di intendere correttamente tanto la tragedia personale di Gollum (e la durezza di Sam che la convalida) quanto l’Eucatastrofe che ne consegue per Frodo e Sam (permessa dalla loro Pietà e quella di Bilbo), nonché per l’intera Terra di Mezzo. Tra la giustizia desiderata e la misericordia messa in atto, passa in mezzo una storia che non vuole farsi sterile pietismo e facile invito alla compassione spregiudicata, ma ricerca quella aequitas che nel Medioevo è prerogativa del Sovrano (o del Cancelliere che ne fa le veci), e il cui arrivo è ogni volta un Ritorno del Re. E, se la ricerca muove appunto in direzione dell’equità, sarà in essa che sarà posto il cuore, persino di Gollum, colui che, come chi abbia perso la speranza, guarda soltanto in basso, ma anche che, come il filologo, ricerca le radici delle cose.

La ricerca su Gollum si svolge interamente nella seconda parte del libro, essendo composta dai capitoli dal quarto al sesto. La prima parte dell’opera invece costituisce probabilmente la disamina più accurata e completa del Cattolicesimo tolkieniano, desunto dagli scritti stessi dell’autore (e in particolare le Lettere), che ad oggi si ricordi in forma monografica in italiano. Pertinente a tale analisi è la magnifica definizione de Il Signore degli Anelli come un De Vera Religione narrativo, definizione fedele agli intenti dell’autore. In effetti l’unico rammarico in tale sezione della disamina di Sassanelli è l’impiego documentario della malcurata edizione dell’epistolario da parte di Gammarelli, che finisce per fuorviare interamente il lettore in diversi luoghi.

Se non ci era ancora stata fornita trattazione accurata del tema tolkieniano del matrimonio, per come trattato dall’autore stesso nello scrivere ai figli, d’altronde lo stesso tema di Maria Madre di Dio viene affrontato dall’autore con grande lucidità, sicché Sassanelli sapientemente rileva, oltre l’ispirazione mariana di Galadriel, altresì il distacco di tale figura dall’ambito mariano, fedelmente a Tolkien, che appunto rimarca l’antica partenza della Dama da Aman nel corso della rivolta Noldorin come personale peccato di gioventù della stessa.

Interessante anche il rilievo sul tema della reincarnazione, e lodevole l’acribia sassanelliana nel definire Il Signore degli Anelli, di cui si parla spesso a sproposito come epica non meno che come fantasy, nell’unico modo autorizzato dall’autore: romanzo eroico (“heroic romance”). Pure, le vere e proprie vette della sezione dedicata al Cattolicesimo restano senza dubbio due indovinatissimi parallelismi: quello tra l’episodio evangelico della figlia di Giairo e la guarigione di Éowyn da parte di Aragorn, e quello tra l’assopimento funereo glorioso di Aragorn e il tema della “dormitio Mariae”.

Tirando le somme, si resta piacevolmente sorpresi, e in molti casi compiaciuti, alla lettura dell’ottimo lavoro di Sassanelli, da un lato dall’immensa portata dell’analisi, nei suoi riferimenti e impostazione metodologica, dall’altro dalla fecondità della trattazione, che pare già preludere a ulteriori sviluppi, dopo aver peraltro già conquistato importante terreno per l’avanzamento della conoscenza di Tolkien, in Italia e non solo. Al momento studi su Tolkien come quello di Sassanelli sono la felice eccezione in Italia, laddove purtroppo è raro osservare tesi originali che arricchiscono in tal modo il quadro, ma d’altronde riscontrarne la presenza, e di tale pregio, rinvigorisce la speranza in quelle fessure tra gli ingranaggi del mondo già menzionate, attraverso cui penetra la luce di là del mondo.

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