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"LA COMMISSIONE DELLE FESTE" DI ISMAIL KADARE: PANEM ET CIRCENSES. Di Riccardo Pasqualin

Ismail kadare (83 anni)

Ismail Kadare è un romanziere, poeta e saggista, nato nel 1936 ad Argirocastro, nell’Albania meridionale. Con le sue opere si è guadagnato una fama internazionale e oggi viene considerato il più grande scrittore contemporaneo albanese. Nell’ottobre del 1990, per manifestare il suo dissenso nei confronti del regime comunista, si è trasferito in Francia e attualmente vive tra Tirana e Parigi[1].

Tra i suoi libri, nel nostro paese, ha avuto un certo successo La Commissione delle Feste (Komisioni i festës), un romanzo breve del 1977, pubblicato in Italia nel 1996, in una traduzione di Fernando Cezzi, che ha incontrato giudizi piuttosto positivi da parte della critica.

Le vicende sono ambientate in Albania, nell’epoca della dominazione ottomana, e più precisamente sotto il regno di Mahmud II.

Dopo anni di battaglie, il monarca decide di emanare un firmano (cioè un decreto reale) con cui si proclama la riconciliazione della Sublime Porta con i ribelli albanesi: «Ieri, per mio ordine imperiale, l’antica espressione ottomana ‘L’Albania è nel mio cuore’ è ritornata ad apparire sul Gran Libro di lavoro del governo e illuminerà ogni nostra azione futura riguardo a questo paese»[2]. Alcuni dignitari consigliano al sovrano di punire severamente i suoi oppositori e di sopprimere il paese balcanico, ma a costoro il sultano – adottando i toni paterni propri degli editti dei re dell’antico regime – risponde: «L’Albania, nonostante i quarant’anni di preoccupazioni che ci ha arrecato, resterà quel che è sempre stata: il paese preferito del nostro Stato, un gioiello della corona imperiale ottomana»[3]. Tenendo apparentemente fede a queste sue promesse, Mahmud indice una amnistia generale per tutti i capi albanesi e organizza una festa nella pacifica città di N., invitando alle solenni celebrazioni una gran moltitudine di uomini scelti tra le autorità militari, i rappresentanti del popolo e gli alti dignitari del clero, con l’auspicio che la regione divenga «il paradiso sulle sponde dell’Adriatico»[4]. Successivamente viene annunciato che non si tollererà alcun tentativo di ostacolare il risanamento dei rapporti turco-albanesi e il popolo si dimostra entusiasta delle grandi promesse del governo, immaginando già le importanti concessioni e i privilegi che saranno sanciti con i nuovi trattati.

Già a questo punto della narrazione gli atteggiamenti insolitamente rispettosi tenuti dagli ottomani possono far presagire al lettore qualcosa di sinistro. Chi invece pare non temere nulla sono i capi albanesi, che accorrono alla chiamata senza mostrare particolari preoccupazioni, ma la cerimonia non è che un vile tranello. I fucili a salve dei soldati che partecipano alla sfilata vengono segretamente sostituiti con armi cariche e i militari massacrano gli illustri ospiti, risparmiandosi la fatica di stanarli tra le montagne, affrontando una interminabile guerriglia[5].

Il capitolo quinto è occupato da un nuovo avviso del tiranno musulmano – sultano e califfo del mondo – che recita: «L’Albania, questa idra dalle cinquecento teste, è stata decapitata. Ma il suo crimine nei confronti di Alläh e dello Stato è così grande che questa sanzione è ancora troppo clemente. Così, nella mia veste di sovrano e rappresentante del profeta sulla terra, io dichiaro che: L’Albania non esiste più. Il suo nome è radiato dai registri dello Stato e sostituito d’ora in poi dalla nuova denominazione: Terza zona del fianco sinistro dell’impero»[6].

Ad un primo sguardo la trama può apparire piuttosto semplice e sicuramente i lettori più intuitivi sono in grado di prevederne il finale tragico sin dalle prime pagine. Una riflessione più attenta e meditata, però, può facilmente suggerire dei collegamenti tra il passato storico e gli eventi legati all’esperienza di vita dello scrittore.

Purtroppo l’edizione stampata da Besa nel 2000 non solo è priva di un apparato di note che aiuti il lettore a comprendere alcuni dei termini che compaiono nel libro, ma anche di un testo introduttivo che faciliti la decifrazione del significato profondo del romanzo. D’altro canto l’assenza di un commento concede la possibilità di tentare ad interpretare liberamente l’opera per indagarne il reale messaggio.

Parlare di Storia ha sempre offerto a chi vive in un regime totalitario la possibilità di esprimere il suo dissenso attraverso raffinate metafore e di fronte a questo romanzo non si può evitare di interrogarsi sul rapporto tra Letteratura e Storia. Innanzitutto sarebbe interessante provare a riflettere sulla posizione tenuta dallo scrittore nei confronti di questo argomento, ma, a tale riguardo, il giornalista Paolo Muner evidenzia che «Per Ismail Kadare, il ‘romanzo storico’ non si pone; in numerose dichiarazioni, Kadare rifiuta per le sue opere questa etichetta di genere», lo scrittore di Argirocastro «sostiene di non sapere cosa voglia dire ‘romanzo storico’, oppure, più moderatamente, che “i romanzi storici non sono vera letteratura”» e, naturalmente, nessuna discussione può prescindere da ciò che l’autore intende esprimere con queste sue parole[7].

La commissione delle feste può essere riletto come una lunga favola con una conclusione macabra, in cui la morale risiede nella locuzione latina “panem et circenses”: la famosa frase di Giovenale[8].

La cordialità adottata dallo stato autoritario, che inganna tutti promettendo il perdono, in realtà è la maschera della benevolenza fasulla, che copre uno spietato calcolo politico: il banchetto pantagruelico, servito seguendo un rituale che elogia superficialmente la cultura popolare albanese, si risolve in una trappola omicida e alla fine il cibo viene gettato senza riguardo. Tutto è organizzato alla perfezione, persino gli stessi uomini incaricati dal Sultano agiscono quasi in buona fede.

I personaggi che popolano la storia sono funzionari intriganti e hanno tutti un passato poco limpido alle spalle, essi sono i servitori del dittatore, ossia i membri di un sistema degenerato, formato da una gerarchia di omuncoli sempre pronti a raggirare i loro superiori per scavalcarli nella piramide sociale.

Il vero protagonista della narrazione, però, è il feroce Impero Ottomano (ovvero la dittatura): uno stato decadente, crudele e isolato nel primitivo «universo islamico», che non è in grado di confrontarsi con i paesi confinanti; il suo governo è ritratto come una macchina antiquata e corrotta, diligente solo nell’inflessibile repressione di ogni anelito di libertà.

Gli abitanti della placida città di N. (posta tra i pascialik autenticamente ottomani e l’Albania), che rimangono sostanzialmente estranei e indifferenti davanti alla strage in cui viene versato “del sangue che, in fin dei conti non è sangue loro”, simboleggiano quindi il conformismo e l’accettazione passiva del regime criminale.

Nondimeno, oltre alla denuncia del vecchio stratagemma del pane e del circo, sembra emergere un altro ammonimento: il regime imbonisce le masse con il divertimento pubblico, ma elimina materialmente i dissidenti poiché è convinto di poter uccidere un ideale sterminando coloro che lo difendono.

I patrioti si sono fidati dei turchi e forse la lezione che Kadare vuole trasmettere è che rinunciare alle proprie posizioni, confidando nella benevolenza dell’oppressore, è una scelta che porta al disastro. In conclusione, tuttavia, si deve ammettere che se si togliesse al libro la sua evidente funzione allegorica – che va contestualizzata nell’epoca in cui è stato scritto – esso perderebbe gran parte del suo effettivo valore.

Riccardo Pasqualin

[1]Per approfondire lo studio delle opere dello scrittore albanese si può rimandare a AA. VV., Leggere Kadare Critica Ricezione Bibliografia, a cura di Alessandro Scarsella, Biblion, Milano 2007.

[2]ISMAIL KADARE, La commissione delle feste, Besa, Nardò 2000, p. 9 (in corsivo nel testo originale).

[3]Ivi, p. 10 (in corsivo nel testo originale).

[4]Ivi, p. 11 (in corsivo nel testo originale).

[5]Cfr. AA. VV., Leggere Kadare, cit., p. 21.

[6]I. KADARE, La commissione, cit., pp. 71-72 (in corsivo nel testo originale).

[7] PAOLO MUNER, Come Ismail Kadare si preparò alla Grande guerra (Viti i mbrapshtë), in Lanno iniquo. 1914: Guerra e letteratura europea, Atti del congresso di Venezia, 24-26 novembre 2014, a cura di Alessandro Scarsella (in collaborazione con Giovanni Capecchi e Matteo Giancotti), Adi editore, Roma 2017: Url = http://www.italianisti.it/ Atti-di-Congresso?pg=cms&ext=p&cms_codsec=14&cms_codcms=818 [data consultazione: 17/05/2019]

[8]DECIMO GIUNIO GIOVENALE, Satire X, 81: «[Il popolo] spasima solo per due cose: pane e giochi».

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