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L'EUROPA VIVE DELLE SUE DIVERSITA'. INTERVISTA A NORBERT HOFER, CANDIDATO ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA FEDERALE AUSTRIACA PER IL FPÖ. – secondaparte –

Premessa

La notizia dell’imprevista vittoria di Norbert Hofer al primo turno delle elezioni per la Presidenza della Repubblica Federale Austriaca del 24 aprile scorso ha consentito di constatare come la stragrande maggioranza della stampa e dei media italiani vivano di riflessi condizionati. Un fatto politico importante in uno stato a noi confinante avrebbe dovuto portare tutti ad un’analisi seria dell’accaduto, incominciando da una conoscenza diretta delle tesi, della personalità e dei progetti del candidato. Al posto di ciò, chiunque “faccia un giro” su internet si renderà conto della coralità monotona dei toni usati, che ripetono in maniera ossessiva un mantra denigratorio ed esorcistico che ben illustra la capacità analitica di queste testate e la propria profonda inutilità. Dopo settimane di inutile attesa, nulla di meglio, nulla di più opportuno.

Norbert Hofer, 45 anni.

Domus Europa lavora diversamente. E presenta in esclusiva per l’area linguistica italiana questa ampia intervista, realizzata da Rainhard Kloucek e Philipp Jauernik per la rivista dell’Unione Paneuropea austriaca, Paneuropa Österreich. Traduzione redazionale.

– SEGUE DALLA PRIMA PARTE

PÖ: Vede il pericolo che l’Europa si sfaldi, come alcuni oggi pronosticano?

NH: Se si guarda al progresso dell’Europa unita questo momento può essere considerato una sorta di prova di resistenza. Non abbiamo infatti ancora avuto una vera crisi, fatta eccezione per quella economico-finanziaria. Una crisi come quella che stiamo attraversando ora non c’era mai stata. Non c’è alcuna solidarietà fra gli stati membri. Questo naturalmente è un enorme peso che l’Unione deve reggere. Vedremo se nonostante tutto si riuscirà ad uscirne. Ma l’andamento degli ultimi mesi di certo non ha contribuito a creare fiducia.

PÖ: Quale sarebbe l’alternativa? Parlando in termini di politica reale bisogna dire che, se l’Unione oggi va alla deriva, l’intera Europa è destinata ad uscire completamente dalla scena politica.

NH: E’ così. L’unica alternativa che vedo è attenersi rigidamente all’ordinamento giuridico europeo. La sua mancata osservanza rappresenta il problema originario e la causa dei conflitti che abbiamo oggi. Dublino deve essere rispettata. La frontiera esterna di Schengen deve essere messa in sicurezza. Se la legislazione europea e i trattati internazionali venissero osservati non avremmo questi problemi. Ormai si sono infrante le regole e facendolo si è finiti per dire: ma sì, la legislazione può anche non essere osservata, tanto non ci sono conseguenze. In futuro gli stati membri si atterranno alle leggi vigenti o no, considerato che è così facile aggirarle? Ormai si è istituito un precedente davvero pericoloso.

PÖ: Non è proprio questa, come Lei ha già detto, la problematica della politica a più livelli, con una spartizione dei poteri non sempre chiara? La Commissione Europea può fondamentalmente fare tre cose se si tratta della protezione della frontiera greca. Può scrivere una bella letterina, può fare no con la testa e può dire: per favore, vi prego, rispettate la legge. Ma non ha alcuna possibilità di intervenire direttamente. Non sarebbe proprio questo un ambito in cui le politiche di sicurezza dovrebbero essere portate a livello europeo? La tutela delle frontiere diventerà una chiara responsabilità della Commissione?

NH: La protezione dei confini, quando si tratta dei confini esterni dello spazio Schengen, è uno delle tematiche che vanno discusse insieme, come Europa unita. Parlando di Grecia devo dire che il problema è più vecchio: sin dal principio la Grecia non ha soddisfatto i criteri d’ingresso nell’Unione. Eppure già allora abbiamo detto: non fa niente, prima o poi si la Grecia si metterà in regola. Ma non è mai successo. Quindi anche in questo caso abbiamo di nuovo bypassato le regole. Abbiamo violato i criteri di Maastricht. Tutti, nei confronti di tutto. Ci siamo dati un ordinamento per la valuta comune europea, e anche questo con estrema facilità lo abbiamo aggirato e non lo abbiamo rispettato. Quando ci si accorda su una linea, questa dev’essere mantenuta.

PÖ: Questo non significa forse che la Commissione avrebbe bisogno di adeguati poteri d’intervento diretto, per poter far davvero rispettare i trattati internazionali?

NH: Ciò sarebbe possibile solo se il potere di veto dei paesi comunitari venisse potenziato. Non può essere che uno stato venga prevaricato. L’equilibrio delle forze e dei poteri va conservato.

PÖ: In questo caso gli stai avrebbero potuto risparmiarsi sin dall’inizio di firmare i trattati.

NH: Esatto. Quando si vota qualcosa all’unanimità, allora la Commissione deve essere dotata anche degli strumenti per far sì che quanto votato venga rispettato. E proprio qui sta il problema: tutti i paesi, invece, hanno violato le regole. La Grecia, ovviamente, in modo particolarmente eclatante.

PÖ: La politica ha la fama di mettere sempre al primo posto la politica stessa. L’Europa è cresciuta, invece, mettendo al primo posto il diritto. Pensa anche Lei che oggi, di fatto, la politica il diritto lo stia smantellando?

NH: Beh, quando si è in politica è necessario avere una volontà costruttiva. E per me questo significa avere la volontà di cambiare le leggi, senza però infrangere quelle vigenti. Ecco dove sta il confine. Quando non sono d’accordo con quadro normativo non posso semplicemente ignorarlo, ma devo ottenere una maggioranza democratica per poterlo modificare. Questa è l’unica via giusta da percorrere.

PÖ: Un bell’esempio è la frase: per i siriani non valgono le regole di Dublino.

NH: Non va bene.

PÖ: Questo è prevaricazione della politica sul diritto.

NH: Esatto. In questo caso le norme sono state violate. Se penso che le cose non vadano bene allora devo modificare le regole di Dublino. Ma non posso semplicemente infrangerle come niente fosse. Questo no.

PÖ: Ma un capo di governo non può certo dire che una data regola, da un giorno all’altro, non è più in vigore.

NH: No. Ciò che vige nel nostro stato di diritto deve essere valido anche per i trattati internazionali e per l’Unione.

PÖ: La Commissione Europea, su incarico degli stati membri, sta negoziando con gli Stati Uniti il Trattato Transatlantico sul Commercio e sugli Investimenti. Il cosiddetto TTIP viene spesso criticato aspramente, fra le altre cose perché prevede tribunali arbitrali che dovranno pronunciarsi in caso di controversie internazionali. L’argomentazione dei detrattori è che solo lo stato può amministrare la giustizia. E’ un’argomentazione che Lei condivide?

NH: Sì, assolutamente. Non è possibile che uno stato debba accollarsi un risarcimento perché il parlamento, nell’ottica di tutelare il consumatore, ha varato una normativa apposita. E’ il cittadino che deve decidere, o esercitando la democrazia diretta o tramite i suoi rappresentanti eletti. E’ inaccettabile che un tribunale arbitrale possa condannare l’Austria semplicemente perché in materia di tutela del consumatore abbiamo leggi diverse da quelle degli USA. Vorrei anche ricordare che in questo campo abbiamo un’altra storia rispetto a quella degli Stati Uniti, paese in cui ciascuno può fare più o meno ciò che vuole, ma se poi le cose vanno storte, si risolve tutto pagando multe da capogiro. Da noi un prodotto, prima di essere messo sul mercato, viene sottoposto a controlli estremamente severi.

PÖ: Eppure i tribunali arbitrali esistono già, ed esercitano la giustizia.

NH: Conosciamo solo una parte della storia, perché il quadro contrattuale viene tenuto segreto. Non riesco ad immaginare come in Europa o in Austria si possano trarre vantaggi da questo accordo. Prendiamo l’esempio dello specchietto retrovisore di una macchina. E’ noto che in America sono costruiti in modo diverso, ma il consumatore viene avvisato del fatto che l’oggetto rappresentato nello specchietto apparirà più piccolo. Questo genere di cose verrà uniformato. Ma potrebbe essere benissimo uniformato anche senza TTIP. Per me, al contrario, è importante che nell’ambito dei beni di consumo si agisca più efficacemente a livello regionale. Il kiwi che proviene dalla Nuova Zelanda non può essere più conveniente della mela che cresce qui da noi, solo perché c’è una forte sovvenzione ai trasporti. Sono addirittura favorevole ad una marcatura apposita di tutti i prodotti alimentari che per arrivare allo scaffale del supermercato devono essere trasportati dal punto di produzione. Perché sono estremamente convinto che i consumatori, se opportunamente informati, sarebbero attenti a comprare prodotti del territorio, tutelando così le aziende locali. Solo che spesso questa informazione non è disponibile.

PÖ: Ma anche i produttori di vino del Burgenland vogliono esportare il loro prodotto.

NH: Certo, ma per questo non c’è affatto bisogno di un trattato transatlantico.

PÖ: L’FPÖ però ha sempre preso chiaramente posizione contro gli obblighi di marcatura dei prodotti apparsi negli ultimi anni.

NH: La nostra posizione riguarda l’etichettatura AMA:[1] così viene fatto credere ai cittadini che i prodotti contrassegnati abbiano origine in Austria. La carne che mostra il marchio di qualità AMA viene trattata al 50% nel nostro territorio, il che significa che l’animale viene macellato e la sua carne lavorata qui. La gente quindi pensa: perfetto, sto mangiando un maiale austriaco. E la cosa ci infastidisce. Non si tratta di una modalità di etichettatura chiara, dalla quale si possa capire se il prodotto sia effettivamente originario dell’Austria o dell’Europa. Mi piaceva molto, anni fa, il programma di Günter Totar ‘Made in Austria’, nel quale erano esibiti prodotti del territorio e che contribuiva a diffondere l’idea di sostenere le aziende che qui da noi creano posti di lavoro. Peccato non ci sia più niente di simile.

PÖ: Ancora una domanda sull’Europa. Avevamo un’assemblea che doveva occuparsi della costituzione europea. Quest’assemblea ha stilato una prima bozza. Nella bozza i cittadini venivano dichiarati sovrani della costituzione, cosa logica in una costituzione democratica. Però questa è stata la prima cosa che gli stati membri, nella conferenza intergovernativa successiva, hanno cancellato, e al posto dei cittadini hanno dichiarato sé stessi sovrani di della costituzione europea, oggi in vigore come Trattato di Lisbona. Uno dei più forti argomenti a favore fu il fatto che la ‘competenza delle competenze’ dovesse rimanere ai paesi comunitari. Crede che la ‘competenza sulle competenze’ debba continuare ad essere assegnata agli stati membri oppure che l’Europa sia effettivamente qualcosa di più di un insieme di stati nazionali?

NH: Dal mio punto di vista la ‘competenza sulle competenze’ deve rimanere al singolo stato. La penso così perché altrimenti si andrebbe nella direzione di uno stato europeo, e questo è un modello che non ritengo efficace.

PÖ: Abbiamo già accennato brevemente alla burocrazia e alla selva di normative sempre in crescita, sia in Austria come in altri paesi. Vorrei nominare tre esempi fra i più recenti, due austriaci e uno europeo. L’anno scorso la camera bassa ha reso pubblico un registro dei conti centrale, allo scopo di intervenire sul rapporto di fiducia fra clienti e banca. Credo poi sia già stata promulgata la nuova legge sulla sicurezza, che prevede maggiori possibilità di controllo e sorveglianza. Infine al vaglio della Commissione c’è un disegno di legge per una nuova direttiva sulle armi da fuoco, come conseguenza degli attentati di Parigi. Quest’ultima interesserebbe però soltanto coloro che posseggono un’arma legalmente. Lei come vede questo ricorso massivo alla burocrazia e questo crescente controllo sul cittadino da parte dello Stato?

NH: Simili provvedimenti per combattere il terrorismo non portano a nulla. La legge sulle armi lo conferma in particolar modo. Si impedirà ai cacciatori di avere con sé la propria pistola, nonostante in Austria, ad esempio, per legge già vigente un cacciatore sia tenuto a sparare il colpo di grazia a un animale ferito gravemente. I funzionari di polizia non potranno più avere armi fuori servizio. Bisognerebbe invece essere felici se un ufficiale competente potesse intervenire all’occorrenza anche quando non è in servizio! Io stesso ho il porto d’armi e ne faccio un utilizzo molto responsabile. Vado regolarmente al poligono di tiro e sono consapevole di cosa significhi avere con sé un’arma. Disarmare la popolazione civile non è la soluzione, ma piuttosto il segno di un’espansione di potere da parte degli organi centrali. Espansione di potere che indica paura dei cittadini. Chi potrebbe mai credere che gli attentati di Parigi siano stati compiuti utilizzando armi legali? Questo mi infastidisce da morire. E’ davvero la via sbagliata. Ma veniamo alla questione della sorveglianza. Lo dico a chiare lettere nel nostro manifesto programmatico. Nella frase d’apertura si legge: “La libertà è il nostro bene più grande”. Ma nel contempo si vanno ricercando sempre di più meccanismi di sorveglianza e tutela. Io dico che dobbiamo fare attenzione. Amo Londra, ma non vorrei mai che anche qui, come a Londra, ci fosse una telecamera a ogni angolo e ogni mio passo fosse controllato. Questo pregiudica la libertà dei singoli e dà allo stato un potere tale da essere usato a svantaggio dello stesso cittadino, nel caso finisse nelle mani del governo sbagliato. Per questa ragione non sono favorevole alla legge sulla sicurezza né ai presunti provvedimenti di contrasto al terrorismo. Nemmeno con una completa proibizione delle armi si potrebbe impedire il verificarsi di fatti simili a quelli di Parigi. In realtà mi chiedo spesso cosa sarebbe capitato se uno dei kamikaze avesse provato ad entrare in una sala concerti in Texas e a sparare sulla folla. Di certo non avrebbe sparato a lungo, dal momento che in America la gente può girare armata.

PÖ: Come si definisce da un punto di vista politico? Probabilmente non come uomo di sinistra. Borghese, conservatore, liberale? Si tratta di etichette che vogliono dire ancora qualcosa?

NH: Sicuramente sono borghese. Un borghese cresciuto in una famiglia borghese, ma con una forte componente sociale orientata alla politica della disabilità. Quindi borghese con responsabilità sociale.

PÖ: E ora la domanda cruciale. Come si rapporta alla religione?

NH: Sono cristiano. Purtroppo non vado a messa tutte le domeniche. Due domeniche fa ci sono andato, la scorsa no. In campagna elettorale è piuttosto difficile. Ma sono una persona che ogni giorno si prende un paio di minuti per parlare con il Signore.

PÖ: Cosa ne pensa degli accordi di Schengen?

NH: Gli accordi di Schengen non sono affatto sbagliati nella loro idea di base, se si dimostrano efficaci nella protezione dei confini esterni. Ma se non è così significa che non funzionano.

PÖ: Di questo si discute da 25 anni e si tratta di un punto cruciale che ciascuno stato avrebbe dovuto sollevare. Il controllo non dovrebbe essere lasciato completamente ai paesi di confine, ma dovrebbe essere un impegno comune.

NH: La penso esattamente così.

PÖ: Quindi su questo fronte gli Stati europei hanno fallito.

NH: Esatto. La protezione dei confini esterni è una competenza che doveva essere centralizzata, in modo da organizzare una difesa condivisa. Sono stato anche io al confine di stato in Burgenland, che un tempo coincideva con una delle frontiere esterne di Schengen. Erano sicuramente altri tempi, in cui non arrivavano migliaia di migranti. Una volta ho bloccato venti persone senza alcun problema. Ma non so se io e i miei commilitoni saremmo riusciti nello stesso intento, se ci fossimo trovati davanti cinquemila uomini.

PÖ: Già da parecchi anni Lei è la persona più quotata dell’FPÖ alla carica di presidente, o almeno questo è ciò che si sente nei media. Le è stato chiesto continuamente di candidarsi, ma lei ha sempre dato la stessa risposta di Pröll.[2]

NH: Sì.

PÖ: Sempre facendo riferimento al fatto di essere troppo giovane. E’ invecchiato improvvisamente nel corso degli anni o che altro?

NH: Beh, mi sento ancora davvero giovane. Tuttavia si è prodotto solo ora uno scenario in cui gli altri candidati sono decisamente, per così dire, nella fase calante della propria vita. Si è reso necessario un contrappunto. E così sono l’unico ad essere a metà del proprio percorso qui sulla terra. Kohl ha detto di avere già gli anni della pensione alle spalle: a me, invece, manca ancora parecchio.

PÖ: Cosa farà fra dodici anni?

NH: Vorrei entrare nel campo dell’economia. E’ una cosa che mi interessa molto.

PÖ: Come ex-presidente sarebbe davvero un’assoluta novità in Austria.

NH: Sì, sarebbe una vera novità, sarei il presidente federale più giovane mai eletto.

Ai migranti che da tutti i paesi del mondo arrivano nella bella Austria dobbiamo trasmettere i nostri valori, affinché possano integrarsi felicemente. Oltre all’insegnamento della lingua nei corsi per migranti c’è di più. Questo sembrerà ragionevole alla maggioranza dei lettori.

I valori di cui parlo vengono effettivamente insegnati nella teoria. Chi durante l’esame finale risponde in modo corretto o barra la casella giusta, è a posto. Tutti conosciamo questa dinamica dai tempi della scuola. A domande precise si forniscono risposte precise.

Decisivi però sono quei valori che riusciamo a trasmettere ai migranti nella pratica. E quali siano questi ‘valori pratici’ ce l’ha mostrato, inconsapevolmente, il deputato di Neos Sepp Schellhorn. Schellhorn, che di professione è direttore di un hotel, ha aperto le sue porte ad alcuni richiedenti asilo, occupandosi anche della loro assistenza e integrazione. Un padre di famiglia, con quattro bambini, ha addirittura trovato un posto di lavoro. E sin qui si tratta di una storia esemplare. Il lavoro è un’ottima strada per raggiungere l’integrazione.

Sì, ma quali valori?

Schnellhorn è stato poi contattato da una ONG (presumibilmente la Caritas), la quale ha calcolato quanto l’uomo in questione, con moglie e quattro figli a carico, percepisse annualmente a Vienna (senza lavorare): 36.343,20 Euro. La somma supera di gran lunga il salario medio in Austria.

Ecco quali sono i ‘valori pratici’, al di là di quelli teorici offerti nei corsi, che offriamo ai migranti: qualunque sia il motivo che ti ha spinto a lasciare il tuo paese, se vieni qui la gente che lavora ti mantiene. Ebbene sì, persone che lavorano e versano contributi finiscono per finanziare, tramite i loro rappresentanti al governo, addirittura associazioni pagate per mostrarti come si fa a farsi mantenere. E tu ne hai pure il diritto.

Probabilmente in Austria e in Germania arriverebbero molte meno persone, se a livello pratico insegnassimo qualcosa di diverso. Ma d’altro canto, ora come ora, sarebbero davvero sciocchi se non ne approfittassero.

[1] AgraMarkt Austria è un ente pubblico che si occupa di stabilire criteri di qualità per i prodotti alimentari. Suo compito, per incarico del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, è anche certificare la qualità della carne bovina. (NdT).

[2] Erwin Pröll è attualmente presidente della Bassa Austria. Più volte il suo partito, l’ÖVP, ha pensato a lui come potenziale candidato alla carica di presidente federale, ma Pröll ha sempre sostenuto di non avere l’intenzione di proporsi per questo ruolo (NdT).

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