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TESTIMONI DEL VENETO. a cura di Giulio Bertaggia.

Mappa storica della Serenissima Repubblica di Venezia.

Con la presente Domus Europa inaugura una nuova rubrica,  “Testimoni del Veneto. Pillole su illustri testimoni di storia e cultura veneta”. Dal sorgere della Repubblica Serenissima e oltre la sua caduta, la storia delle Venezie ha visto nei secoli la testimonianza di grandi uomini che, con la propria firma, hanno contribuito all’arricchimento di un’immensa eredità culturale nei più svariati campi, dall’architettura alla musica sino alla politica. Grazie alla passione e alla cura del dott. Giulio Bertaggia, autore di questa pregevole raccolta di biografie storiche a cui va la gratitudine per l’importantissima lavoro svolto, Domus Europa è lieta di presentare ai propri lettori i

Testimoni del Veneto

Raccogliamo qui una serie di “testimonianze” su quella che è stata  la grandezza della cultura veneta. La cultura dei grandi popoli, come il nostro, è come un albero: se riesce a sopravvivere alle traversie dell’ambiente che lo circonda, si sviluppa fino a dare i frutti della propria cultura anche agli altri popoli. Come un albero, accetta di buon grado l’innesto di altri rami, di elementi di altre culture, che lo arricchiscono e lo rendono più forte, senza che l’eccessivo innesto di rami superi in dimensioni la pianta, snaturandola o spezzandola sotto il peso eccessivo di un ramo troppo grande. L’albero sano, invece, potrà continuare ad accogliere sotto i suoi rami i viandanti e a proiettare la sua ombra, cioè la sua lingua, tutto intorno.
Gli stati ottocenteschi, ormai superati dalla storia, nati in antitesi ad una vera unità europea, hanno sempre cercato di sminuire, se non denigrare, le culture proprie degli Stati che inglobavano, cercando, quando non riuscivano a condannarle all’oblio, a farle passare per una parte della cultura dell’invasore.
I personaggi qui descritti che ci hanno lasciato le loro opere per il bene di tutta l’umanità, sono gli antichi testimoni di una cultura che non deve scomparire, non deve essere dimenticata o sminuita e non deve essere fatta passare per italiana, visto che ha una sua propria identità che da un lato la distingue da tutte le altre e dall’altro ne rivela tutti i collegamenti con le culture di tutta l’Europa e il mondo mediterraneo.
Sono tutti veneti: chi di nascita; chi di formazione, pur essendo nato altrove; chi di libera scelta, avendo deciso di voler essere veneto. La gente veneta, senza voler perdere la propria identità, non è mai stata xenofoba o razzista: anzi!
La rubrica si suddividerà in ordine tematico e, per ogni argomento, in ordine cronologico; il lettore che troverà musicisti, artisti, letterati, scienziati, filantropi, educatori, esploratori, la gran parte dei quali sconosciuta al grande pubblico.

Un nostro autore di teatro in lingua veneta, il medico dr. Achille Tian di Padova, scriveva: “Non c’è nemico maggiore e più temibile per l’uomo della sua ignoranza, …”. Ignorare la propria storia, la propria lingua, i propri grandi personaggi equivale a perdere la propria identità. E perdere la propria identità vuol dire diventare lo schiavo di un padrone che la sua identità, vera o falsa che sia, se la tiene stretta.
Alcuni articoli riguardano specificamente la lingua veneta, i Santi Patroni, il nostro computo antico del capodanno e il come mai siamo sotto l’italia senza essere italiani. L’italiano, la lingua in cui ho scritto quest’opera per renderla leggibile al maggior numero possibile di persone e per fare una cortesia a chi ha perso la lingua dei nostri antenati, è a tutt’oggi la nostra seconda lingua; la prima è e resta la lingua veneta.

Giulio Bertaggia

Marchetto da Padova (Padova fine sec. XIII – principio sec. XIV) Musicista. Figlio di un sarto padovano di nome Egidio, si ritiene possa essere nato intorno al 1275 o poco dopo, se è vero che tra il 1305 e il 1307 risulta attivo come “cantor” e “magister scholarum” nella cattedrale di Padova (Cattedrale di Santa Maria Assunta), ruolo che ne comprova anche lo stato di ecclesiastico. Il 18/05/1318, Marchetto è registrato nella lista dei cappellani al seguito di Roberto d’Angiò (1277  o 1278 – 1343), re di

Simone Martini, MUSICI, affresco della Basilica di San Francesco d’Assisi, XIV sec.

Napoli, in partenza per la Provenza. Il documento consente di convalidare l’ipotesi, di un periodo di attività di Marchetto alla corte napoletana. Con Roberto d’Angiò, in Provenza, oltre a Marchetto, c’era anche l’agostiniano Pietro di Saint-Denis, la celebre abbazia nei pressi di Parigi, autore di un “Tractatus de musica”, compilato tra il 1324 e il 1325. (1) Infatti Marchetto studiò principalmente il passaggio dall’ars antiqua all’ars nova e mise in rilievo le differenze fra l’ars nova italiana e quella francese. (2) Nei suoi due trattati, scritti nei primi decenni del secolo XIV, il “Lucidarium in arte musicae planae” e il “Pomerium in arte musicae mensuratae” egli affronta con sorprendente arditezza, da una parte gli aspetti armonici della musica e le possibilità cromatiche che vi sono insite, anticipando i tempi di più di due secoli, dall’altra le difficoltà ritmiche e di scrittura sorte fin da quando la polifonia si era fatta mensurale e proporzionale. L’autorità di Marchetto dura tanto a lungo che ancora nel Cinquecento, in occasione di qualche dotta disputa che si accende fra i teorici della musica, egli viene ricordato come esempio di sapienza musicale. (3) I trattati di Marchetto influenzarono enormemente la musica del XIV e XV secolo e furono ampiamente copiati e diffusi in tutta Europa. Senza le innovazioni di Marchetto, la musica italiana del XIV secolo non sarebbe stata possibile. (4) A Padova, in via dei Livello n° 32, in quello che l’ 11/06/1751 era nato col nome di “Teatro Nuovo” e che dall’ 08/06/1884 si chiama teatro “Giuseppe Verdi”, (5) Marchetto è ricordato da un ritratto in un affresco su di un soffitto del piano terra, davanti alle biglietterie. L’affresco dovrebbe essere opera di Giacomo Casa (Conegliano 1827 – Roma 26/10/1887), che nel 1884 realizzò le pitture del soffitto della sala, del Caffè, del foyer e del soffitto dell’atrio. (6) Infatti dopo il bombardamento austro-ungarico della notte del 29/12/1917, (7) il restauro di quello stesso anno riguardò i palchi, la volta della sala e l’arcoscenico e vide i nuovi affreschi eseguiti da Giuliano Tommasi (1879 – 1942) e Saturno Mazzuccato nella cupola della sala e non nell’atrio; anche il restauro del 1958 riguardò la sala e il palcoscenico e non gli affreschi dell’atrio. (8)

(1) (Cesarino Ruini, “Marchetto da Padova”, in Enciclopedia Italiana Treccani, 2007, www.treccani.it)
(2) (AAVV, “Dizionario Enciclopedico Moderno”, c. ed. Edizioni Labor, Milano, 1959, vol IV, p. 3432)
(3) (Diego Valeri, “Padova, i secoli, le ore”, c. ed. Edizioni ALFA, Bologna, 1967, p. 170)
(4) (“Marchetto da Padova”, in it.wikipedia.org)
(5) (Lionello Puppi – Giuseppe Toffanin, “Guida di Padova”, c. ed. Edizioni LINT, Trieste, 1983, pp. 347-8)
(6) (Franco Mancini, Maria Teresa Muraro, Elena Povoledo, “I teatri del Veneto”, c. ed. Corbo & Fiore, Venezia, 1988, p. 186) (vedi anche: Bruno Brunelli, “I teatri di Padova dalle origini alla fine del secolo XIX”, ed. Libreria Angelo Draghi, Padova, 1921, p. 441)
(7) (Franco Mancini, op. cit., p. 189)
(8) (Franco Mancini, op. cit., pp. 186 e 192)

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