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GLI JIHADISTI OCCIDENTALI, IL COPILOTA SUICIDA-OMICIDA E IL FALLIMENTO DELLA MODERNITA’. di F. Cardini

In uno splendido libro sbagliato di parecchi anni or sono, dedicato all’eclisse del Sacro nella società contemporanea, Sabino Acquaviva ci aveva avvertito del fatto che la Modernità avrebbe definitivamente ucciso Dio, questo fantasma creato dalle cose che appunto essa avrebbe eliminato: l’ignoranza, il fanatismo, la superstizione, il bisogno, la miseria, la paura. Peraltro, il laico Acquaviva non era affatto del parere che una società “liberata” dal Sacro sarebbe stata migliore e più felice: e ribadiva che, al pari dei complessi nella psiche individuale, il rapporto con il Divino costituiva una difesa efficace.

Non sappiamo se ateismo e agnosticismo siano “libertà dall’illusione superstiziosa”, “realistico disincanto” o a loro volta errore e illusione: nessuno di noi può saperlo. Quel che tuttavia sappiamo è che alcuni decenni fa molti che condividevano la Weltanschauung di Acquaviva ma a differenza di lui ne erano convinti e soddisfatti guardavano al “progresso” sociale, civile e culturale (e/o mentale) come a una logica ed automatica estensione di quello economico e tecnologico: essi, convinti con la Costituzione americana che tra i diritti dell’uomo ci fosse anche quello della ricerca della felicità e che il trinomio individualismo-democrazia-progresso (per quanto poi si discutesse sul senso e il significato di tali termini: specie il secondo) fosse la via dritta al conseguimento di essa, ritenevano che le magnifiche sorti e progressive del genere umano fossero ormai quasi a portata di mano, e il loro avvento irreversibile. Il celebre ma ormai anche famigerato saggio di Francis Fukuyama sulla “fine della storia” costituisce, come ormai tutti hanno capito, anche il capolinea di tale beata, ottimistica illusione. E il risveglio, nell’ultimo quarto di secolo, è stato duro, amarissimo. Il “sogno della ragione” aveva generato un ridicolo mostriciattolo.

Non che tuttavia, già da molto tempo, mancassero avvisaglie in questo senso. La crisi della protesta giovanile innescata dalla sciagurata esperienza vietnamita, il Flowers Power, le corse folli nel Magic Bus attraverso Istanbul e Kabul fino a Katmandu inseguendo l’ippogrifo del “Volo Magico” ci stavano impartendo una lezione a modo loro chiara e lucidissima, per quanto molti di noi si ostinassero a non comprenderne l’esatto significato. Per molti, anche la “sacrosanta evasione del prigioniero” dalla gabbia di una realtà intesa secondo quella che Erich Fromm aveva genialmente definito la “cultura dell’Avere”, il rifugio nella tolkieniana “Terra di Mezzo”, rivestiva identico valore di rifiuto di un materialismo plumbeo e disperato – quello del possesso dei beni materiali, del profitto, insomma della dittatura della “terza funzione” di duméziliana memoria e di una “Volontà di Potenza” ormi appiattita in quella esclusiva direzione – si trasformò in un progetto culturale ed esistenziale che d’altronde ebbe esiti differenti e contrastanti: ora il “ritorno selvaggio di Dio” o la ricerca di altri dèi, ora il Paradiso all’Ombra delle P 38 degli Anni di Piombo, ora il tentativo-tentazione di tirarsi indietro rifugiandosi in una versione intimistico-solipsista di quella che il gran Guicciardini avrebbe definito il proprio “particulare”.

Ma il punto è che già allora tutti quei differenti esiti sottolineavano il fallimento di uno degli scopi, il principale forse, tra quelli che la Modernità occidentale, con il suo primato dell’individualismo e della logica economico-finanziario-spettacolistica del consumo, del profitto e del successo, si proponeva: il raggiungimento della Felicità.

Agli scontenti che un tempo si davano al “viaggio” della droga o al terrorismo, più tardi al disinteresse e al disimpegno, si sono di recente aggiunti i foreign fighters che dall’Occidente appunto accorrono, non è chiaro in qualche misura, a combattere nelle fila dell’armata califfale dell’IS. Il copilota Andreas Lubitz, il 26 marzo scorso, ha fornito alla sua angoscia e alla sua disperazione una risposta diversa, con un suicidio-omicidio che gli ha forse – quanto meno nelle sue intenzioni – procurato la medesima fama che spettò a quel tal Erostrato il quale, per essere ricordato dai posteri, dette alle fiamme il tempio di Artemide in Efeso. La sua tragica disperazione non è certo esclusiva della fine della Modernità: è comunque di essa caratteristica. La Volontà individualistica di Potenza, il primato dell’economia, la corsa ai consumi e ai profitti, il “processo di secolarizzazione”, avebbero dovuto mettere la felicità alla nostra portata di mano. Così non è avvenuto. Non è stato un fallimento da poco.

L’AGGRESSIONE AGLI SCIITI DELLO YEMEN: QUEL CHE NON TORNA

Che sia attualmente in corso una manovra ad ampio raggio di ridefinizione degli equilibri nell’area vicino-orientale e che tanto i suoi tratti quanto i suoi registi siano almeno fino ad oggi poco chiaramente discernibili, è purtroppo poco, però sicuro. In tale contesto, un ruolo da ben valutare – ma sul quale purtroppo si possono avanzare solo alcune ipotesi non confortanti – va assegnato alla recente aggressione di potenze regionali arabo-sunnite diretta contro i progressi che in Yemen erano stati realizzati dalle forze sciite. Che l’obiettivo finale, per ora indiretto, della manovra che vede leader e protagonista l’Arabia saudita sia l’Iran, e che pertanto questo nuovo capitolo della fitna, la guerra civile sunnito-sciita (ma ormai purtroppo non solo…), possa riuscire non sgradito né alla politica dell’attuale governo israeliano, né a quella auspicata dalla maggioranza del Congresso degli Stati Unit né forse al governo turco, appare piuttosto ovvio e verosimile. Accanto all’Iran, sembra proprio che un altro obiettivo da colpire sia la politica estera del presidente Obama e il suo indirizzo di disimpegno dalle faccende vicino-orientali, che non risulta gradito a quanto sullo scudo diplomatico-militare statunitense hanno saputo di poter fino ad oggi contare per portar avanti la propria linea.

Due sole domande, per ora. Primo: che cosa ci fanno le forze egiziane di al-Sisi nell’alleanza? Hanno forse il ruolo di confermare la rinnovata politica di partnership diplomatica con l’Arabia saudita, dopo il messaggio inviato dal Cairo a Riad – estremamente chiaro anch’esso – consistente nell’aver assolto e rimesso in libertà i militari responsabili su ordine di Mubarak dell’eccidio di Piazza Tahrir nel 2011, all’inizio della cosiddetta “primavera araba”, che aveva avviato il processo che condusse al governo dell’Egitto i “Fratelli Musulmani”. L’eliminazione di tutti gli esiti, prossimi e lontani, di quei conati di rinnovamento che appunto la “primavera araba” aveva avviato ha condotto al ripristino, con qualche mutamento (la caduta di Mobarak tra essi), di uno status quo gradito nel Vicino Oriente tanto agli occidentali quanto ai governi arabi conservatori. Il contenimento delle pressioni sciite rientra appieno in tale strategia.

Fin qui, in fondo, niente da obiettare. Politique d’abord. Solo un rilievo: gli sciiti yemeniti stavano dando parecchio filo da torcere alle centrali di al-Qaeda in quel paese; l’aggressione saudito-egiziana non si sta risolvendo in un obiettivo sostegno ai guerriglieri jihadisti sunniti? E una domanda: in tutto questo complesso quadro di ridefinizione, che fine sta facendo la tanto conclamata lotta contro l’IS di al-Baghdadi, per il momento a quel che pare contrastata sostanzialmente solo da curdi, militari irakeni sciiti e iraniani? Che l’IS continui a far comodo a qualcuno? Se sì, a chi, e perché? Domande scomode, ma ben legittime.

Franco Cardini

dal suo blog personale

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