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CONSIDERAZIONI POST-QUIRINARIE. di F.M. Agnoli

Qualunque cosa si pensi di lui occorre riconoscerlo: l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica è stato il trionfo politico di Matteo Renzi. L’aveva detto: punteremo su un unico candidato che ricompatti il PD, ve ne darò il nome subito prima della riunione dei Grandi Elettori, voteremo scheda bianca nelle prime tre tornate e lo eleggeremo alla quarta. Così è avvenuto. Tutto si è svolto secondo copione, senza che nessuno potesse interloquire. Non l’alleato di governo, il Nuovo Centro Destra di Alfano, tenuto per il cravattino, più che da attaccamento alle poltrone ministeriali (come pure qualcuno maligna), dalla paura di un anticipato scioglimento delle camere e di una conseguente tornata elettorale, che allo stato non è in grado di affrontare. E nemmeno l’altro contraente del cosiddetto “patto del Nazareno”, Silvio Berlusconi, il leader di Forza Italia, avendo dissanguato il suo partito per aiutare Renzi a realizzare i progetti di riforma, credeva di avere acquisito titolo alla sua riconoscenza e a dire la sua nella scelta del successore di Napolitano. Strano che un volpone come lui abbia dimenticato che non esiste riconoscenza in politica e che i patti vengono osservati solo se si ha la forza di farli rispettare. Di conseguenza, non avendo la forza, né in proprio né col traballante soccorso azzurro di Alfano, che pure sperava (sbagliando) di essersi assicurato, si è trovato, come tutti gli altri, nella situazione del prendere o lasciare senza spazio di trattativa. Del resto, caso mai ce ne fosse stato bisogno, per ragioni difficilmente comprensibili e confermando le perplessità di chi lo ritiene in disarmo, Silvio ha offerto su un piatto d’argento a un Matteo che non chiedeva altro l’occasione per evitare trattative sui nomi con l’imbarazzante proposta del candidato più sgradito di ogni altro agli italiani, Giuliano Amato.
Un errore (anche se è verosimile che Renzi non avrebbe accettato di trattare nemmeno su un nome più spendibile) tutto sommato benefico dal momento che il candidato renziano era senza dubbio il meglio del mazzo dei papabili.
Vero è che, a credere all’on. Brunetta, i guai per il presidente del Consiglio, che ha ecceduto in astuzia, pretendendo di giocare su tre tavoli (o, per recuperare una vecchia terminologia, con tre forni), utilizzando tre diverse maggioranze, cominciano adesso, dal momento che per portare in porto la riforma del Senato e la nuova legge elettorale dispone di un’unica maggioranza, che gli viene meno se Forza Italia per vendicare l’affronto subito gli fa mancare il suo appoggio.
Brunetta si illude. Innanzitutto non è affatto certo che la minoranza PD, soddisfatta per avere contribuito alla scelta e alla nomina al più alto ufficio della Repubblica di un personaggio gradito e avere inflitto un colpo forse mortale all’odiatissimo patto del Nazareno, riprenda subito le ostilità. Tuttavia se anche così fosse (ed è abbastanza probabile) Forza Italia, che, come dimostrano le elezioni per il Quirinale, non può nemmeno contare sul Ncd alfaniano, ha a disposizioni solo armi spuntate. Potrà forse riuscire a rallentare il cammino delle riforme (in particolare quella del Senato), ma, anche in questo caso è a rischio di fare a Renzi un nuovo favore dopo quello che gli ha consentito di ricompattare il partito, le cui fibrillazioni stavano superando il punto di tollerabilità per un premier che di quel partito è anche segretario. Il blocco delle riforme offrirebbe infatti al presidente del consiglio il destro per chiedere la fine anticipata della legislatura e avere finalmente le sospirate nuove elezioni, che, riducendo la rappresentanza parlamentare dell’opposizione interna piddina, gli garantirebbero, adesso che vola sulla cresta dell’onda, una forte maggioranza di sua fiducia.
Vittoria su tutta la linea.
Francesco Mario Agnoli

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