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Cangrande I della Scala, ipotesi di avvelenamento.*

Dopo 700 anni, la mummia di Cangrande della Scala, custodita nella chiesa di Santa Maria Antiqua di Verona ha svelato il suo oscuro segreto: il potente signore della città ai primi del Trecento, il conquistatore ghibellino e mecenate di Dante Alighieri, sarebbe stato avvelenato. Con polveri di digitalis purpurea, forse nascoste in una bevanda alla camomilla e gelso.

La morte improvvisa e prematura del condottiero, avvenuta a soli 38 anni di età il 22 Luglio 1329, nella fase del suo massimo potere – proprio all’indomani della conquista di Vicenza, Padova e Treviso – era stata attribuita ad un virus intestinale, trasmesso dall’acqua di una fontana contaminata. Cangrande morì dopo violenti attacchi di vomito, diarrea e febbre elevata. Ma le analisi sui resti della mummia riesumata dal suo sarcofago alcuni anni fa, e condotte da un team di paleopatologi dell’università di Pisa guidati da Guido Fornaciari, raccontano un’altra storia.

Nel tratto digestivo della mummia gli scienziati hanno scoperto tracce di camomilla e gelsi, e nel retto, nel fegato, e in campioni di feci del Signore Scaligero qualcosa di inatteso: una concentrazione tossica di digoxina e digitoxina, due molecole provenienti da piante di digitalisi purpurea, sostanza che se assunta in dosi errate è un potente veleno.

Secondo Gino Fornaciari – che ha pubblicato i risultati dello studio sulla rivista americana Archaelogical Science – «la scoperta è stata una vera sorpresa». Ma i sintomi manifestati dal condottiero prima della decesso sono compatibili con l’avvelenamento. La possibilità rimane – spiegano gli scienziati – che il veleno sia stato somministrato non intenzionalmente. Ma se come appare più probabile, Cangrande della Scala fu avvelenato, solo due giorni dopo il suo ingresso trionfale da conquistatore di Treviso, il mistero su chi gli fece bere la pozione letale rimane aperto.

Nel febbraio 2004 il corpo di Cangrande è stato rimosso dal suo sarcofago per essere sottoposto a studi e test scientifici, con lo scopo principale di trovare le cause della sua morte: fin dall’apertura si è potuto constatare che il corpo di Cangrande è incorso in un processo di mummificazione naturale, come nella precedente ispezione del 1921, durante la quale si capì tra l’altro che la tomba doveva essere già stata aperta in precedenza. Cangrande, nell’ultima riesumazione, appariva avvolto in una stretta fasciatura, di almeno cinque strati di lino imbevuti di unguenti. La fronte e la parte posteriore del capo, invece, si mostravano rivestite da una garzatura più leggera. Le braccia erano incrociate sul torace, invece che nella posizione più canonica, probabilmente perché il corpo si era irrigidito per la tipica contrazione che avviene dopo la morte, chiamata rigor mortis.[76]

Dallo studio è emerso che la vera causa della morte è stato un avvelenamento dovuto ad una quantità letale di digitalici, principi attivi estratti da una pianta officinale, la Digitalis purpurea, normalmente utilizzata per la cura di alcune malattie cardiache, ma che, in dosi eccessive, diventa un veleno. Alcune prove fanno pensare ad un avvelenamento non accidentale, probabilmente somministrata con il pretesto di curare il malanno che aveva preso bevendo la fredda acqua della sorgente prima del suo arrivo a Treviso (infatti un medico di Cangrande venne fatto impiccare dal successore Mastino II[77]), anche se la causa potrebbe essere un sovradosaggio della stessa per la cura di una malattia.

Esame autoptico

L’apertura del sarcofago ha rivelato la presenza di una mummia naturale, non sottoposta ad imbalsamazione, e, tra l’altro, in un sorprendente stato di conservazione. Il corpo era avvolto in bende di lino e coperto con un drappo di seta, e giaceva sul dorso, con braccia conserte sul torace, e con la mano sinistra appoggiata sul gomito destro. Gli arti inferiori erano completamente stesi, ma i piedi erano in parte assenti, anche se parte degli ossi sono stati ritrovati sotto le bende e presso le caviglie. I lineamenti della faccia erano ben conservati, tanto che è stato possibile appurare che gli incisivi superiori non erano ben sviluppati, sintomo di stress (nutrizionale o morboso) in età infantile. I capelli apparivano ricci e di color castano, le dita delle mani riportavano ancora le unghie e l’addome appariva espanso, di aspetto globoso.

L’esame esterno non rilevava patologie particolari, mentre durante l’autopsia è stato rilevato un ingrandimento del fegato, particolare interessante considerando che nelle mummie la conservazione di tale organo è molto raro. L’esame istologico ha rivelato nel fegato la presenza di diversi noduli di piccole dimensioni (inferiori a 3mm) nel parenchima (parte del tessuto) ormai degenerato: questo è il quadro clinico tipico di una cirrosi epatica micronodulare, in fase non avanzata.[78] Inoltre è stata rilevata anche la presenza di una grande quantità di polveri di carbone nell’organismo, questo era verosimile ai tempi del Cangrande, per via dei braceri, largamente utilizzati all’epoca.

Nella notte tra il 13 ed il 14 febbraio 2004 è stato aperto il sarcofago di Cangrande, e la sua mummia è stata trasportata all’Ospedale Maggiore di Verona, dove è stata sottoposta alla sola tomografia computerizzata (chiamata comunemente TAC), poiché la risonanza magnetica e gli ultrasuoni non erano utilizzabili per via della disidratazione del corpo del principe (successivamente sono state svolte ulteriori analisi presso l’Università degli Studi di Verona e di Pisa). Il corpo è stato analizzato avvolto con una pellicola trasparente per minimizzare i contatti con i macchinari ed il personale, e rispettare così la sua integrità. Dalla valutazione delle immagini della TAC si sono ricavate importanti informazioni:[79]

  • cranio e cervello: il cranio è perfettamente conservato ed è di aspetto normale, senza segni di fratture e con le suture craniche (articolazioni che uniscono le ossa del cranio) perfettamente saldate. La mandibola è sviluppata nella norma, ed i denti sono perfettamente conservati, senza alcun segno di usura. Il setto nasale presenta una lieve deformità, gli apparati dell’orecchio e degli occhi sono regolari, anche se a sinistra è riconoscibile un cedimento del bulbo oculare. Il tessuto cerebrale si mostra atrofizzato e collassato con calcificazioni: si possono distinguere il cervelletto circondato dalla dura madre e dai legamenti clino-petrosi, e i lobi cerebrali allogati posteriormente, separati dalla falce cerebrale e circondati dalla dura madre parzialmente collassata;
  • collo: la regione del collo è caratterizzata dalla disidratazione e dall’atrofia dei tessuti molli, con l’impossibilità di distinguere i vari muscoli, vasi sanguigni e linfonodi. Tuttavia è ben riconoscibile la cavità orale, la rinofaringe, l’orofaringe, la laringe, e l’esofago fino a metà torace;
  • torace: la gabbia toracica è asimmetrica per la minore espansione del lato destro. Le strutture ossee mostrano uno stato di nutrizione e non presentano traumi, mentre cuore, polmoni e vasi polmonari sono rattrappiti, mostrando quella che potrebbe essere un enfisema bolloso. Le parti molli tra scapola sinistra e gabbia toracica sono mummificate, mentre a destra non sono riconoscibili;
  • addome: gli organi sono completamente disidratati, quindi in alcuni casi è impossibile la visualizzazione, tranne il fegato in cui il residuo fibrotico ha mantenuto, in parte, l’aspetto e il volume. L’apparato gastrointestinale è completamente collassato posteriormente;
  • bacino: gli organi uro-genitali sono completamente riassorbiti, il colon è collassato posteriormente;
  • colonna vertebrale: la struttura ossea appare normale e ricca di minerali. La colonna vertebrale è in asse, i dischi sono disidratati e quindi ridotti in altezza, lo spessore delle varie zone è regolare;
  • arti superiori: le spalle sono dislocate cranialmente con verticalizzazione delle clavicole, posizione obbligata dallo stretto sarcofago. Gli avambracci sono incrociati al davanti della gabbia toracica, invece che in posizione più canonica. Le ossa sono regolari e nutrite. L’articolazione del gomito presenta una modesta iniziale alterazione artrosica;
  • arti inferiori: le ossa si sono ben conservate e non mostrano anomalie. Iniziale degenerazione della superfici dei cotili. I muscoli sono rattrappiti e sono riconoscibili i legamenti. I menischi presentano calcificazioni più evidenti a sinistra. I piedi sono amputati a livello dell’osso scafoide e destra e a metà dei metatarsi a sinistra: i frammenti ossei mancanti si proiettano contro le ossa del bacino (l’ischio e il pube). A destra vi è la parziale laterizzazione della rotula, che a sinistra si fa più marcata;

La TAC multistrato di ultima generazione ha fornito informazioni dettagliate sui legamenti e sui residui degli organi interni. La struttura dei legamenti si sono dimostrati in ottimo stato di conservazione, compatibile con l’età di Cangrande al momento della morte. L’unico dato patologico importante è a livello delle ginocchia, dove vi è una lussazione laterale della rotula. In particolare la calcificazione dei menischi è espressione di una loro sofferenza da sovraccarico, verosimilmente in relazione all’utilizzo di un particolare tipo di staffa durante la cavalcata.

Le iniziali alterazioni artrosiche alla colonna, al gomito ed alle anche è compatibile con l’età di Cangrande. La riconoscibilità del fegato è molto interessante, dal momento che la disidratazione colpisce tutti gli organi interni e porta alla loro scomparsa. La conservazione dell’organo è da correlare alla fibrosi, conseguente alla presenza di una patologia di tipo cirrotico, che potrebbe aver contribuito, almeno marginalmente alla morte di Cangrande.

Sono stati fatte indagini tossicologiche su diversi campioni prelevati dal corpo di Cangrande: capelli, feci, muscolo, fegato e osso. Dalle analisi è stato escluso l’avvelenamento da arsenico, molto utilizzato nel medioevo, sono stati invece identificati composti assimilabili all’armano, molecole vegetali contenute nella passiflora, e la santonina, contenuta nell’artemisia.

Nelle feci e nel fegato sono state trovate quantità rilevanti di glicosidi, digossina e digitossina, principi attivi della digitale: i suoi composti sono particolarmente efficaci sulle funzioni cardiache, tanto che vengono utilizzati ancora oggi. Tali farmaci vengono eliminati molto lentamente dall’organismo e per questo si prescrivono sempre dosi basse: un’assunzione continua in un lungo decorso può facilmente portare ad una grave intossicazione. La digitale può essere stata somministrata a Cangrande volontariamente, o per avvelenarlo, o per tentare di curarlo (se la pianta era già conosciuta per il suo possibile impiego farmacologico).

Ipotesi di causa di morte

Due dati sono sicuri: la cirrosi (in fase non avanzata) e la presenza di composti della digitale: data l’età e l’impossibilità, per l’epoca, di utilizzo di superalcolici, è molto improbabile che si tratti di una cirrosi alcolica, mentre quasi sicuramente è una cirrosi virale, che potrebbe essere stata asintomatica fino al luglio 1329. Questa potrebbe essere la causa dell’aspetto espanso e globoso dell’addome, patologia conosciuta anche con il nome di idropisia.

Nel medioevo, per curare questa patologia, veniva utilizzata, a dosaggi molto bassi, la digitale, che però aveva effetto solo per l’idropisia causata da scompenso cardiaco. Forse il medico ha tentato di curare Cangrande con la digitale, senza risultati: ad un certo punto il sovradosaggio ha provocato vomito e irritazione gastroenterica con diarrea, proprio come riferiscono le fonti antiche («corporei fluxus stomachique doloris acuti», «fluxu obiit», «fluxu ventris et febre ob laborem exercitus»). Per cui la causa della morte è da imputarsi al sovradosaggio di digitale, utilizzata o come cura o come veleno.

* Domus Europa ringrazia il sito http://www.archeologiamedievale.it/

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